La ricorrenza di Santa Barbara, Patrona del Minatore, a fine anno 2023, è stata celebrata “sotto-tono” in tutta Italia rispetto agli anni passati; proprio per questo ho voluto colmare con un pensiero il ricordo di una figura di cui ultimamente si parla poco, quella appunto del Minatore che, senza dubbio alcuno, almeno per chi scrive, andrebbe accostato di diritto al piano finanziario Marshall, che a fine guerra, ha contribuito alla ricostruzione dell’Italia. E di questa figura, sia il bellunese che il trevigiano devono sentirsi onorati, stante il gran numero. A San Gregorio delle Alpi (Bl)  esiste un monumento dedicato al Minatore nel Viale denominato delle “Lampade Spente”, mentre a Fratta di Caneva, a pochi chilometri dal bellunese,  esiste addirittura un Museo costruito da Arduino Martinuzzo, minatore deceduto, padre dell’attuale Presidente, Avv. Barbara Martinuzzo.

Ovviamente, si tratta di un accostamento di natura diversa,  ma con lo stesso identico fine.  Si tratta infatti di una figura storica, quella del minatore, il cui lavoro sempre a contatto con la morte, ha permesso di riprenderci dalle macerie post-belliche e quindi di godere oggi di tutto ciò che abbiamo in termini di ricchezza e progresso da lui stesso prodotta, affrontando difficoltà inimmaginabili.

Da ex consigliere dell’AIEM (Associazione Italiana Emigranti Minatori) e direttore della ex-testata “Il Minatore”, vorrei dare riviviscenza alla storia che ha contraddistinto questa nobile figura, estrapolando alcuni passi di vari miei articoli riconducibili al  “vivere in miniera”, scrivendo filo e per segno quanto mi è stato raccontato dalla viva voce dei pochi superstiti ancora in vita fino, purtroppo,  a soli alcuni mesi fa. Si tratta infatti di episodi che, per le loro dinamiche, potrebbero apparire come frutto di menti malate, mentre si è trattato di uomini sanissimi sotto ogni punto di vista e che, proprio per questo, sono degni di incondizionata ed emulabile serietà, ed apprezzamento da ascrivere alla storia.

Quanto segue farà riflettere: il Minatore infatti, a fine conflitto, si è trovato di fronte all’opzione di morire di fame sopra terra o di rischiare, in funzione dell’obiettivo della sopravvivenza,  di fare degli… slalom sulla morte scansando il crollo di qualche struttura all’interno della miniera, spesso a circa 1000 metri sotto terra: insomma una scelta demandata unicamente alla fortuna.  Come dire: se esci,  sei fortunato e continuerai a vivere  in superficie con i tuoi cari…

Oggi ci troviamo di fronte a pochissimi superstiti della miniera, realtà riconducibile ad ovvi motivi anagrafici, ma ciò non ci deve far dimenticare un mondo, quello della appunto miniera che, oltre ad aver prodotto ricchezza, ci richiama anche oggi alla serietà, all’ abnegazione, all’altruismo nell’interesse della collettività, e ciò,  anche al di fuori di detto pericoloso contesto all’interno delle viscere della terra.

Allora c’era la fame a dettar legge, ma mi par di dover dire  oggi, malgrado la ricchezza creata anche dal Minatore, che manchi quasi del tutto quel necessario collante sociale per il quale, con il suo esempio, il minatore stesso si prodigava, in primis nell’interesse della sua famiglia, e di riflesso verso tutta la società, dando avvio alla ricostruzione del Paese dopo le macerie della guerra, realtà per la quale quest’uomo è stato un deus ex-machina per risollevarne  le sorti.

Oggi, purtroppo, affermare queste cose, significa  non far capire ciò che si dice lambendo la retorica, ma osservando  seriamente l’attuale trend di questo sindacabile modernismo, quasi tutto incentrato sul business, sulle divisioni, sulle guerre e sulla sopraffazione degli uni sugli altri, io penso, indipendentemente da qualsiasi colore politico, che se ciascuno di noi, sinceramente, asetticamente, così come ci adoperiamo a difesa del nostro organismo fisico, volesse dare un contributo minimalistico rispetto a quanto ha dato il Minatore, la situazione oggi sarebbe molto diversa.  E mi fermo qui.

Mi rintrona ancora nelle orecchie un denominatore comune sentito dalla viva voce dei minatori, i quali, quando scendevano nelle viscere della terra, si facevano il segno della croce affermando: “Spero di tornare a giorno per rivedere la luce…”,   (realtà che noi  invece oggi fatichiamo a rivedere, non già perché siamo in miniera sotto terra, ma perché, seppur in superficie, non siamo più in grado di ricuperare neanche quella luce razionale necessaria per vivere all’esterno, aspetto che, ahimè, sembra essere stato compromesso da questa nostra società malata, e ciò, in assoluta contrapposizione con i sentimenti  puri e genuini di unione, fratellanza, concordia sociale ed amore verso il prossimo,   che i nostri Minatori ci hanno lasciato come eloquente e preziosa eredità.

Premesso che in miniera si muore ancora e che tante notizie di lutto non vengono rese pubbliche dagli Stati a regime dittatoriale, vorrei citare alcune testimonianze da me acquisite verbalmente dagli stessi Minatori, di cui a foto, quasi tutti purtroppo sono già passati ad altra vita, anche di recente.

Lino Bizzotto classe 1929:
…a 700/1000 metri sottoterra gli incidenti erano quotidiani…le gabbie contenevano 48 uomini e calcolando che per ogni discesa ci volevano 2 minuti e mezzo circa, su poco più di mezz’ora venivano letteralmente buttati giù circa 1000 minatori… ricordo la caduta di una gabbia, alias ascensore, che provocò diversi morti, così come ricordo di aver subìto un brutto trauma a causa di un colpo di accetta sferratomi in testa per sbaglio,  a causa del buio, da un collega il quale invece di colpire la vena della miniera colpì direttamente il mio cranio.

Marcello Maggiotto classe 1930:
…“La mia famiglia era una di quelle famiglie che meglio… rappresentava la miseria, quindi …per fame decisi di raggiungere mio fratello in Belgio che faceva il minatore. Partii con due paia di mutande, due canottiere, due pantaloni ed una giacca e lo raggiunsi in miniera. Mi dettero in dotazione un cavallo che io dovevo condurre sottoterra per lo spostamento dei vagoncini. Dopo tre giorni di lavoro avvenne un crollo: io che ero davanti al cavallo me la cavai, ma la povera bestia fu colpita dalla pioggia di sassi e carbone stramazzò a terra morta. Questo fu il mio impatto con la miniera.

Francesco Bertuola classe 1932:
…impiegavo anche tre quarti d’ora per arrivare al posto di lavoro sottoterra: la miniera non era altro che una specie di città sotterranea. Là sotto c’erano temperature elevate per cui si lavorava seminudi: si oltrepassavano i 30 gradi e addirittura anche i 40, e ciò in una condizione simile ad un immenso formicaio. Masticavamo tabacco per pulire la gola dalla polvere, e latte contro la silicosi.

Emilio Zava   classe 1931
…quando mi trovavo insieme con altri minatori nelle viscere  irrespirabili della terra a raccogliere il carbone,  ci sentivano comunque  “ossigenati” da un’aria di grande fratellanza, bontà, spirito di servizio che, anche a certe profondità non veniva intaccata, e ciò in attesa di…ritornare a giorno per il quale, prima di scendere “all’inferno”, pregavamo appunto di poter rivedere la luce

Luigi Mandis   classe 1931
…non ci ho pensato un attimo a mettere a repentaglio la mia  vita allo scopo di dar da mangiare (nel vero senso della parola) alla mia famiglia, scendendo nelle viscere della terra a profondità paurose (7-800 anche  oltre i 1000 metri) nella speranza, una volta sceso a dette profondità, di
“tornare a giorno”. Frase che  mi ripetevo “dentro” ogni qualvolta scendevo in miniera, facendomi il segno della croce. L’opzione allora era infatti morire di fame sopra terra o arrischiare sotto terra per poter vivere sopra.

 

Ho detto poco per ricordare la figura del minatore, tuttavia spero che queste poche parole  fungano da “memento homo” per le nuove generazioni. E ciò,  allo scopo di comprendere che nulla arriva senza il sacrificio che,  grazie a Dio, oggi è molto dissimile rispetto alle tragedie di Marcinelle (tanto per farmi capire meglio),  di cui sono state vittime coloro che, per guadagnare il pane per se e famiglia, hanno pagato anche con la vita.

Non credo di enfatizzare, ma ricordiamoci, ovviamente in chiave estensiva,  che se oggi usiamo il telefonino, lo dobbiamo a chi ci ha messo in condizione di averlo e di usarlo.

Arnaldo De Porti

 

fotografie (clicca sulle miniature sottostanti per ingrandirle)
 

 

 

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Ascolta in sottofondo Miniera (strumentale) - alla fisarmonica Arnaldo De Porti

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