A volte, anche casualmente, basta aprire una pagina di un libro per imbattersi su situazioni che ti prendono “dentro” e dalle quali non puoi ”sgattaiolare”  perché , malgrado l’indifferenza che sta albergando ormai da decenni nell’animo umano dell’intero pianeta, non se ne può proprio fare a meno: mi riferisco a quel nobile essere umano che ha lavorato in miniera.

Proprio qualche giorno fa, un mio racconto pubblicato su questo stesso numero di “Mensilenews” mi ha riportato, oserei dire in termini di sensazioni contestuali malgrado i vari decenni trascorsi, alla vita ed alla morte di migliaia di minatori sui quali oggi sembra essere calato il silenzio malgrado si debba essenzialmente a loro un nostro grazie fra i più sentiti e sinceri: voglio dire, per coloro che se ne siano dimenticati o vogliono dimenticare,  che negli anni 50, i nostri “fratelli minatori” erano stati barattati vergognosamente dal governo belga con il carbone, nel senso che, per ogni 1000 operai destinati alla miniera, il Belgio ci retrocedeva 2.500 tonnellate di carbone al mese. E proprio per questa merce, che ora si vuol mettere al bando per l’inquinamento, e ciò anche al di là degli introiti finanziari di allora per l’Italia, mi ritorna in mente un tragico evento, denominato tristemente madre di tutte le disgrazie,  e cioè la tragedia di Marcinelle con 262 morti, di cui 136 italiani,  avvenuta esattamente in data 8 agosto 1956.

Penso di poter tristemente arrogarmi come uno dei pochi  (anche per l’anagrafe)  di conoscerne fatti, persone, tipologia di lavoro, famiglie e superstiti di questa realtà, grazie al fatto delle varie frequentazioni avvenute in detto ambiente fino alla loro morte: gli ultimi due superstiti li ho accompagnati al camposanto due-tre anni fa. A volte mi sono chiesto, anzi mi hanno chiesto (ma questa è una boutade per stemperare la serietà dell’argomento) come io abbia potuto entrare nello spirito della miniera malgrado io soffra di …claustrofobia, aspetto che confligge con questa realtà. Vergogna interiore, pensando a chi viveva per il pane nelle viscere della terra ?

Non ho difficoltà nel dire che, stante il copioso materiale insito nella mia mente e nei vari documenti cartacei in possesso, non saprei da dove incominciare  ogni singola narrazione in quanto l’una non può sacrificare l’altra, anche per il rispetto delle persone che non ci sono più.  Mi vengono ancora in mente quanto dissero Dino Buzzati e Indro Montanelli con riferimento  a Marcinelle.  Il primo si espresse pari pari costruendo  questa immagine: … immaginate quei 139 minatori italiani tutti in fila e dietro di loro le 139 famiglie, padri, madri, mogli, figli, fratelli. Quanti saranno ? Di certo più che sufficienti per formare un paese intero, i cui abitanti, tutti con la nostra stessa faccia, sono piombati in un ‘angoscia perenne senza nome…

Montanelli invece, incontrato da me più volte a Milano, persona dal carattere a mio avviso “razionalmente” impulsivo, non le mandava a dire sia al governo italiano che a quello belga…” le miniere, disertate dai belgi residenti,  hanno spalancato le porte ad un esercito di disperati italiani che hanno lasciato il loro paese per il pane.  Ora, è necessario riflettere perché… un popolo che ig nora il propripo passato non saprà mai nulla del proprio presente. Conoscenza e consapevolezza quindi, costruite sul filo sottile del vissuto soggettivo che diventa patrimonio condiviso e condivisibile…  esattamente come ha narrato anche Roberta Sorgato, rimasta orfana del padre deceduto in miniera  quando aveva soli 3 anni,  in un bellissimo libro a titolo “Cuori nel pozzo”.

Chissà che non si possa continuare la narrazione a puntate su questa nostra rivista.

Arnaldo De Porti


 

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Ascolta in sottofondo Miniera - di Luciano Virgili

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